.
(...) vecchia (e stanca) bio contadina part time,
considero il blog una finestra come le altre che ho in casa e,
per chi guarda da fuori, una stanza al pari di un'altra.
bella o brutta che sia,
mi soddisfa e tanto mi basta.

venerdì 5 aprile 2013

due nobel


mi ero ripromessa di tornare sulla letteratura cinese dopo averla 'tradita' con quella nipponica per più di un paio d'anni.
colpa delle ragioni ignorate del Tibet e dell'antipatia per il regime che rifiuta di riconoscerne i diritti.
ho 'tirato giù' dal web qualche autore contemporaneo tra cui Mo Yan e Gao Xingjian di cui avevo letto anni or sono La montagna dell'anima che ricordo ancora, tra quelli che ho letto, come uno dei più apprezzati.
Gao Xingjian

entrambi premi nobel, il primo alquanto discusso qui in occidente, il secondo attivo anche in campo pittorico e decisamente avverso al paese natio, che ha abbandonato a fine anni '80.
personalmente, e per tanti motivi, mi è più simpatico Gao di Mo; infatti per iniziare a farmi un'idea, ho scelto il testo meno corposo.
L'uomo che allevava i gatti sono racconti e precede il più noto Sorgo rosso.
in effetti Mo Yan ovvero 'non parlare' nome d'arte di Guan Moye è parecchio fissato con il sorgo che nomina trentotto volte in cinquanta pagine su duecento cinquanta che ne conta il libro.
il caso ha voluto che lo leggessi in parallelo a Una canna da pesca per mio nonno di Gao Xingjian, anche questo è di racconti brevi e tutti, tranne l'ultimo, scritti prima dell'esilio.
le differenze ci sono, ma meno evidenti di quelle che sarebbero apparse se il confronto fosse stato con  La montagna dell'anima.
Credo che l'approfondimento sull'autore verrà abbandonato, perché non vedo motivi di farmi piacere qualcuno, che a pelle mi risulta discutibile, quando c'è un mondo pieno di scrittori verso cui mi sento più in sintonia, tuttavia, mentirei se dicessi che L'uomo che allevava i gatti mi ha lasciato indifferente.
allo stesso tempo, parlarne vorrebbe dire mettere accenti su aspetti che probabilmente vedo solo io e che riguardano la psiche di Mo Yan, il suo modo di essere e restare interno a un mondo che sembra voler a tutti i costi giustificare anche quando ne descrive gli aspetti meno nobili e più aberranti.
sembra essere capace di vedere e certamente sa mostrare in modo ineccepibile l'ottusità dei preconcetti e l'estremismo ideologico del potere, ma allo stesso tempo sembra volerlo rendere come condizione ineludibile contro cui niente e nessuno può agire in modo da migliorarla.
in un certo senso entrambi i libri inducono una sorta di stato claustrofobico anche grazie al metodo e allo stile che utilizzano nella narrazione, ma se in Gao Xingjian si scorge una possibile via d'uscita, lo stesso manca in Mo Yan, almeno per quel poco che ho visto leggendo un suo solo libro e poco più di qualcosa di niente di lui.


Nessun commento:

Posta un commento